domenica 10 dicembre 2017

Assaporare la Dolcezza della Vita




Da "Brodo caldo per l'anima"
Pensa positivo

 Nel 1964 a LaPaz, in Bolivia, la fornitura di luce e acqua veniva interrotta ogni giorno alle 12:00 in punto. Lo sapevamo e accettavamo il razionamento come parte della vita.
 A mezzogiorno spaccato, le luci e la radio cessavano di funzionare e la buela( la nonna) sospirava dopo aver ascoltato un altro episodio del Conte di Istanbul, la sua soap opera radiofonica preferita. L'unica lampadina appesa al soffitto si spegneva, gettando la minuscole News Cola cucina in un'oscurità ancora più fissa noi portavamo avanti le nostre abitudini una volta tornati da scuola, io e mio fratello svolgeva amo un compito semplice e banale con i secchi di metallo che ondeggiavano al nostro fianco uscivamo dal cancello arrugginito e correvamo giù per Langusta discesa sterrata IPsec i sfera gli avevano mentre posava amo i piedi sulle pietre che usavamo a mo' di scalini il sentiero era ripido, disseminato di erbacce punti irregolari, sassi e detriti lì una volta raggiunto il campo polveroso, evitavamo i cani randagi che, comunque il loro corpi scheletrici e il loro pelo arruffato annunciavano qua e là in cerca di cibo. Poi scava il cava amo le pozze di fango e correvamo verso il rubinetto pubblico. di luce e acqua veniva interrotta ogni giorno alle 12:00 in punto . Lo sapevamo e accettava mo il ragionamento come parte della vita a 12:00 spaccato , le luci e la radio cessa vano di funzionare e la bella la nonna sospiro va dopo aver ascoltato un altro episodio del Conte di Istanbul la sua shop opera radiofonica preferita l'unica lampadina appesa al soffitto si spegneva , dettando la minuscole minuscola cucina in un oscurità ancora più fitta noi portavamo avanti le nostre abitudini una volta tornati da scuola , io e mio fratello svolgeva mo un compito semplice e banale con i secchi di metallo che onde già vano al nostro fianco uscivamo dal cancello arrugginito e corre ramo giù per la busta discesa sterrata i secchi Ferrara vano mentre potevamo i piedi sulle pietre che usava mo amo di scalini il sentiero era rigido , di seminato di erbacce punti irregolari , sassi e detriti una volta raggiunto il campo polvere uso , evita va mohicani randagi che , con loro corpi scheletri CEI loro te lo ha rubato al usavano qua e là in cerca di cibo . Poi scavalcare amo le pozze di fango e correva mo verso il rubinetto pubblico . Rischiando con gli amici che incontravamo sul nostro cammino mettevamo i nostri secchi in fila dietro quelli dei vicini il ritorno era più duro punto i secchi, pieni e pesanti virgola stendevano i rendevano il percorso ancora più lungo, perché ci fermavamo spesso per riposarci punto mentre il freddo vento delle Ande ci tagliava la faccia, mi sedevo su un masso e guardavo mio fratello che gettava rami secchi giù per il precipizio Allora

martedì 28 febbraio 2017

Un Santo allegro e simpatico




Viviamo tempi difficili e poco allegri e ci fa bene conoscere un  pò una persona che in ogni difficoltà ha saputo vivere in modo scherzoso ed ottimista,
Piero Lazzarin presenta san Filippo Neri in modo piacevole ed edificante. È un invito a cercare di vivere in modo più 'leggero'..

"Una frase di Filippo  "Pippo" Neri che merita di essere meditata per la sua bruciante attualità:"È possibile restaurare le umane istituzioni con la santità -egli diceva non  restaurare la santità con le istituzioni". La proferì in pieno clima di controriforma, quando abbondavano i profeti di sventure, i tetri accusatori, coloro che invocavano il braccio forte delle istituzioni per ridare slancio e autorità alla chiesa, dimenticando -e Filippo glielo voleva appunto ricordare - che solo l'amore di Dio e la santità possono portare sollievo alla chiesa.
Non fosse stato l'uomo di Dio che tutti ammiravano, a Filippo una lavata di capi da parte del Sant'Uffizio non gliela avrebbe risparmiata nessuno.
Ma a quel tempo Filippo, "Pippo bono" per gli amici, guai a toccarlo! Brillante, spiritosi, la battuta sempre pronta e pungente (da buon toscano) e tanta bontà, tanta comprensione e disponibilità per tutti, era diventato l'idolo dei monelli scarmigliati e inselvatichiti delle borgate romane. Li aveva raccolti nell'"Oratorio del divino amore" per dirozzarli, tenerli allegri, lontano dalle cattive compagnie e farli crescere uomini di dignità e cristiani per convinzione.
Per questi ragazzi, per la salute delle loro anime e dei loro corpi, Filippo non esitava a  mendicare per le strade o alle porte dei sontuosi palazzi. Un giorno un signore, ritenendosi infastidito dalle sue richieste, pensò di toglierselo di torno appioppandogli un ceffone. Filippo non si scompose:"Questo è per me -e ve ne ringrazio. Ora datemi qualcosa per i miei ragazzi".
Filippo era nato a Firenze nel 1515. Figlio di un notaio, rimase presto orfano della madre. Ebbe, nonostante quella perdita, un'infanzia serena, favorita anche dalla sua indole mite e allegra. Studiò musica, poesia e amò la bellezza della natura. A diciotto anni venne mandato a Cassino da uno zio mercante a imparare un mestiere. Dal bancone della bottega, lo sguardo poteva spaziare sul colle di Cassino sormontato dalla gloriosa abbazia, e dopo un pò Filippo non ebbe occhi che per quella!
Ma non era tagliato per la vita di monaco, Bazzico' per qualche mese i benedettini, ma poi decise di trasferirsi a Roma. dove seguì i corsi di studio che si tenevano alla Sapienza.
Neppure nello studio però trovò quello che cercava, tant'è vero che, a ventiquattro anni, fece un  fascio di tutti i libri che aveva (si tenne solo la Bibbia e la Summa Theologica di san Tommaso) e li vendette al mercato distribuendo il ricavato ai poveri..Dopo di che si trasformò in predicatore ambulante e in assiduo frequentatore dei quartieri più poveri della città, degli ospedali più abbandonati, delle carceri più tetre, portando ovunque, con la sua ilarità di toscanaccio purosangue, la testimonianza della più calda carità cristiana.
Nel 1551, a trentasei anni, ottenne di essere ordinato sacerdote. Subito dopo organizzò il suo primo oratorio, seme dell'istituzione che nel 1575 verrà definitivamente approvata con il titolo di "Congregazione dell'oratorio" perché fosse continuata nel tempo e possibilmente con il suo stile ("educare divertendo") la sua attività a favore dei ragazzi.
Per aver gettato in gioventù tutti i suoi libri (gesto che ripeterà poco prima di morire dando alle fiamme, stavolta, i suoi manoscritti), non dobbiamo pensare a Filippo come a uno zoticone ignorante. Tutt'altro! Aveva una solida cultura: fu consigliere di umili, ma anche di uomini illustri come papa Clemente VIII e San Carlo Borromeo.
Filippo era molto ricco interiormente, era umanissimo nei rapporti con gli altri e francescanamente aperto alla gioia di vivere, alla serenità, all'accettazione di sé e dei propri limiti, "Ritirati, Signore, ritirati, Trattiene l'onda della tua grazia", diceva quando aveva il cuore gonfio di felicità e di riconoscenza. Nello stesso tempo pregava il Signore di tenergli una mano sul capo "altrimenti Filippo, senza il tuo aiuto, ne fa qualcuna delle sue".
Durante la messa era a volte rapito in estasi, ma lui, per limitare quei "voli" che potevano tramutarsi in vanagloriosi spettacoli, teneva accanto al messale, pronto per l'uso, il libro delle Facezie del pievano Arlotto.
A messa conclusa, nel congedare i fedeli, era solito dire "La vostra ora di preghiera è finita, ma non il tempo di fare il bene", Era bravissimo nel tradurre in brevi massime la dottrina e la sapienza spirituale del cristianesimo e molti suoi detti, tramandati oralmente sono entrati a far parte del patrimonio di moltissime generazioni, e ciò dimostra il grande e decisivo influsso da lui esercitato sulla vita religiosa e sociale del suo tempo.
Morì a ottant'anni, dopo aver più volte rifiutato il cardinalato. I medici, esaminando la sua salma, trovarono il muscolo cardiaco più voluminoso del normale, mentre due costole si erano inclinate per far spazio ai battiti di quel cuore colmo  d'amore per Dio e per gli uomini. Venne canonizzato dopo un processo ricchissimo di testimonianze nel 1622, da Gregorio XV.







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domenica 19 febbraio 2017

Saggi Consigli



Nessuno ha più bisogno di un sorriso di colui che non ha più nulla da offrire (Cina)

Meglio un pezzo di pane sotto a una pianta, che un banchetto in prigione (India)

Ci vuole tutta una vita per capire che non è necessario capire tutto (Cina)

Erbe velenose crescono anche fra le erbe medicinali (Tibet)

Sorridi alla vita e la vita ti sorride (Cina)

It rimedio contro i tempi avversi è la pazienza (Arabia)

Il fondo del cuore è più profondo del fondo del mondo (Cina)

La sporcizia si toglie lavando, l'abitudine non si elimina facilmente (India)

I corvi sono dappertutto ugualmente neri (Cina)

L' insetto silenzioso attraversa la muraglia (Giappone)

È saggio essere severi verso se stessi e benevoli verso gli altri (Cina)

È meglio un nemico intelligente che un amico sciocco (Arabia)

domenica 12 febbraio 2017

Carnevale di VENEZIA, Omaggio al suo Passato


Da "STORIA DI VENEZIA" di Paolo Scandaletti

La voglia di vivere
La voglia di vivere, di abbigliarsi e far festa si esprimeva  al  suo acme nel Carnevale che non aveva eguali al mondo, coinvolgendo tanti: patrizi, popolani e foresti. Lo hanno descritto ed esaltato cronisti, poeti e scrittori come Voltaire nel suo"Candide": lo hanno raffigurato i pittori di secolo in secolo, fino a Canaletto, Guardi e Heinz. E naturalmente criticato censurato. Già nel 1567 contro le sue follie tuonava dai pulpiti veneziani un prete giovane e smilzo che studiava"leggi" a Padova e che sarebbe diventato una delle guide della Chiesa, il cardinale Roberto Bellarmino. Galileo invece, anche lui a Padova come giovane professore di matematica, si sarebbe entusiasmato per gli svaghi veneziani e vi avrebbe preso parte spesso con l'amico Giovanfrancesco Sagredo, assecondando la sua natura vitale e gaudente.
In maschera si mettevano tutti: la stragrande maggioranza indossava il*tabarro", cioè un manto nero che arrivava fino ai piedi, il tricorno in testa, sul volto la "larva" bianca a coprire gli occhi e la"bauta", la classica mantellina che scendeva sulle spalle. In tal modo nessuno avrebbe potuto riconoscere nessuno e questo consentiva di fare tutto ciò che in abiti normali, non sarebbe stato conveniente o agevole. Così si avventuravano tra la folla il Doge e i nobiluomini, le signore e le cortigiane, le carampane e le donnette, i pescivendoli e i Notari, e perfino frati, monache e e il nunzio apostolico.
Il tocco pittoresco e variopinto era dato invece dai veri travestimenti nei panni di maschere tradizionali come Arlecchino, Pantalone, Balanzone, Brighella, Pulcinella e Colombina, o in quelli più generici di diavoli, streghe, straccioni, lavandaie e serve, turchi, tedeschi, spazzacamini, straccivendoli, armeni, ebrei, assassini, avvocati e medici.
Ai poveracci  era consentito per un giorno di indossare anche la toga nera ed accedere ai palazzi dei patrizi: ai nobili travestiti da popolani di entrare nelle osterie malfamate e nei bordelli di second'ordine; alle loro donne di uscire senza cavalier servente e infilarsi furtive nelle stanze delle locande con qualche aitante gondoliere.
Tenendo conto che a Venezia qualsiasi occasione era buona per far festa e bisboccia, appare quasi anacronistico che il Carnevale avesse un suo calendario che si  apriva con la prima domenica  di ottobre, si sospendeva per Natale, riprendeva fino alla Quaresima e ancora dopo la Pasqua fino alla festa dell'Ascensione.
Come sempre, il clou si raggiungeva nei giorni "grassi", in particolare il giovedì, allorché nel Carnevale veniva ufficialmente coinvolto il Palazzo: alla Loggia Foscari si affacciava il Doge con i famigliari e la Signoria, mentre ai lati, sotto le arcate gotiche, c'erano i senatori, i capi del Consiglio dei Dieci, procuratori, savi e avogadori.
Nella sottostante piazzetta e in piazza, stipati davanti alla Basilica, si radunavano migliaia di Veneziani e foresti accorsi per vedere i "zoghi" e i "foghi" che si svolgevano per ricordare la vittoria sul patriarca di Aquileia, Ulrico avvenuta nel lontano 1170: l'ennesimo pretesto, ovviamente...





 

domenica 5 febbraio 2017

Voi siete la luce del mondo



Dall'Omelia del Vescovo Antonio Riboldi
"Credo che abbiamo sperimentato tutti la sensazione del l'insicurezza e dello smarrimento, che a volte sconfina nella paura, quando d'improvviso se ne va la luce di casa o per le strade, in cui stiamo camminando"
"Quando poi torna la luce, proviamo un senso di profondo sollievo e gioia, come avessimo scampato un pericolo.
Oggi l'umanità, e forse anche qualcuno di noi, per le più svariate ragioni, è come se avesse smarrito la luce della vita. Ci sentiamo avvolti da pericolose tenebre dentro e fuori.
Sentiamo tanti discorsi sulla pace, sull'onestà, ma a volte sembrano come"schiacciati" dalle tenebre del vivere quotidiano, tanto da non sapere più se sia il caso di ascoltarli e credervi."
" Per chi non ha fede, difficile, ritrovare la serenità, la luce. Viene da chiederci a chi rivolgersi, perché ce la ridoni?
Chi si è definito ' Luce del mondo' è Gesù, il Figlio di Dio, che ci ha rivelato il Volto del Padre ed è il Vivente, sempre accanto a noi...'in noi'.
"A tutto lo smarrimento dell'anima, che fa perdere il senso e la bellezza della vita, risponde oggi Gesù: parole che sono la vera 'sfida' di Dio alla cecità dell'uomo."
"Voi siete il sale della terra, ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato"
"Voi siete la luce del mondo"
"Così  risplenda la vostra merce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere e rendano gloria al vostro Padre che è nei Cieli".
Ed ha ragione Gesù! Chi di noi si lascia penetrare dalla Sua Luce, nella vita è come se divenisse una luce per sé e per quanti lo accostano.
Forse non è facile incontrare fratelli e sorelle che sono ' luce e sale', ma grazie a Dio ce ne sono,"

domenica 29 gennaio 2017

"La Crisi" secondo Einstein

Girando a caso in vari siti internet mi sono bloccata su un articolo che ho trovato straordinario, ottimista e di stimolo per il tempo in cui ci troviamo a vivere. L'ho ritenuto perciò adeguato per questo tempo confuso e difficile.  
Da "Il mondo come io lo vedo" 1931

"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progresso. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.
Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore al problemi che alle soluzioni.
La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito.
È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perche senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo.
Invece lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi 
pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla
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domenica 22 gennaio 2017

L'indifferenza uccide l''Amore


Oggi è Domenica, Dies Domini, cioè giorno del Signore, e se possibile anche di riposo.
Ho già parlato della mia amica Carla Zichetti, ora in cielo, alla quale attribuisco l'ispirazione di questo blog di speranza. Soffermiamoci a meditare l'appello di un'ammalata che ho tratto dal suo libretto *La speranza e la gioia*. 
Carla, ammalata, sola e con scarse possibilità finanziarie per quasi tutta la vita, a Lourdes, già in una età avanzata,  aveva conosciuto tanti sofferenti, con i quali aveva stabilito un contatto telefonico ed epistolare. Era disponibile giorno e notte. Quando l'ho incontrata a Loreto mi ha rivelato che erano più di 2000. Mai, rassegnata alla sofferenza e alla solitudine, avrebbe pensato di dare inizio ad un"ministero" di consolazione e comprensione che la portò sugli ottant'anni a servirsi anche del computer per diffondere video e preghiere scaturite in momenti "particolari".
Per chi sente il desiderio di offrire vicinanza e comprensione lei è un esempio prezioso e incoraggiante, che si può intraprendere in qualsiasi momento della vita.
Riporta
"Un'amica ammalata scrive: "Quando una persona rimane sola, ci vorrebbe poco a dire una buona parola. Passo settimane, anche mesi, in cui nè figli, né nuore si ricordano di me. Ho tanta tristezza dentro: trovo pace nella preghiera e nella Santa Messa. Ora fa tanto freddo e devo girare per fare la spesa. Ho 89 anni: nessuno si è accorto che ho fatto l'elettrocardiogramma e nessuno  mi ha domandato l'esito. Quanti sospiri, non mi lamento. Quando vado in Chiesa  e guardò il Crocifisso, delle volte sono anche felice".

Commento di Carla"Quanta gente sarebbe contenta anche di una sola parola, di un sorriso, di una domanda: "Come Stai?". Ricordiamoci, noi che ci consideriamo sani, che la salute è un bene da spendere, la salute è una grazia da trasformare in amore, altrimenti non serve a niente:è completamente inutile. 

domenica 15 gennaio 2017

La Saggezza dei Popoli



Chi è abituato a mangiare il tuo pane, avrà fame solo vedendoti ( Arabia )

Non è il sapere che è difficile, ma il fare ( Cina )

Solo quello per cui hai combattuto sarà duraturo ( Nigeria )

Non esiste un unico giorno, anche domani il sole risplendera' ( Angola )

Se sai gioire per le gioie altrui, sei il più degno abitante del villaggio ( Sudan )

Per ogni cosa che succede, solo una parte del vero si tira fuori; il resto rimane dentro
 ( (Tanzania )
Per quanto alta sia la montagna, un sentiero vi si trova ( Afganistan )

Chi paga il musicista, sceglie la musica ( Scozia )

La persona che parte per il viaggio, non è la stessa che 5 ora ( Cina )

La scienza dei giovani è come un campo dove il seme è appena stato gettato ( Kenya )

Chi biasimare se stesso è a metà strada, chi non biasimare nessuno è arrivato ( Cina 




domenica 8 gennaio 2017

Dolci Ricordi e amaro Presente



Profonde riflessioni di Gregorio Crudo sul Natale

" Da bambino avrei voluto che il periodo natalizio fosse infinito. Mi piaceva l'armonia e la reciprocità che regnava tra le persone. Gli adulti erano premurosa verso i più piccoli e tutto era avvolto in un ovattato brusio.
Era il momento più atteso, per i dolci che sarebbero arrivati e per gli incontri che avremmo avuto. Persone care, che non vedevamo spesso lungo l'anno, si materializzavano sorridenti nei loro  vestiti della festa ed era un abbracciarti ed un sorridersi che riempivano di gioia quei momenti. Ognuno portava qualcosa di buono e le tavolate che ne seguivano duravano fino a tarda ora. Noi bambini  vociavamo allegri e con le tasche piene di dolcetti e qualche spicciolo che tramutavamo in piccoli ordigni da far esplodere rumorosamente.
Quei fragore, non li amavo, i botti mi lasciavano spaventato e guastavano i buoni profumi di cibo con l'accesso odore della polvere da sparo dopo ogni scoppio.
Mia madre era indaffarata e quasi non la vedevo, facevo il possibile per non starle tra i piedi e trascorrevo s giocare  il tempo in strada con gli altri monelli del quartiere fintanto che la voce di mia madre non mi giungeva perentoria perché rincasassi.
Non ero un bambino disobbedienti, mi piaceva compiacere mia madre e mi rendeva felice vederla sorridere. Lei aveva sempre una buona parola per tutti anche se doveva combattere con le ristrettezze che assillavano il magro bilancio. Inventata cibi gustosi con i pochi ingredienti che poteva permettersi e in quel periodo festoso la sua cucina diventava una fucina di buoni sapori e con le cose buone, che la nonna Giovannina le faceva avere dal paese, la nostra tavola ben figurava a Natale.
Con noi a tavola c'era sempre qualche persona sfortunata che viveva in strada e poteva così, trascorrere qualche ora in compagnia, mangiando e bevendo in allegria. Era bello condividere quei momenti che se la passavano peggio di noi, restituire loro qualche sprazzo di famiglia che non avevano o che non li volevano più con loro. Nella magia di quei giorni di festa dimenticavamo di essere poveri, per noi c'era tutto quanto potessimo desiderare. L'amore e l'affetto delle persone sono il cibo che non dovrebbe mai mancare, è il principio della saggezza e la stessa essenza della vita. Ci sono felicità dentro ad ognuno di noi ed è importante saperle scoprire e mostrarle al mondo, non perché altri possano invidiarcele, ma perché ognuno di possa attingervi un buon motivo per amare di più la vita.
Adesso il Natale visto dell'adulto che sono diventato ha un sapore umano e pregno di tristezza, fatico a trovare la gioia perduta tra le macerie di questo mondo che sembra aver smarrito ogni speranza e voglia di essere felice. Ora fatico a credere che un Dio rinasce ogni anno per portare gioia e speranza, si esponga ai limiti umani, alla sofferenza ed al martirio perché gli uomini possano ritrovare la strada dell'essenziale per raggiungere un affaticamento che già potrebbe sconfiggere il male di esistere dell'umanità.
Non riesco a comprendere perché uomini non comprendano altri uomini, perché così tanta sofferenza debba essere inflitta nel momento e per conto di un Dio tanto benevolo da sacrificare se stesso per noi è, nel contempo, lasciare che l'orrore e la malvagità distruggono la sua opera mirabile.
Non c'è Dio in questo, non c'è altro che la miseria umana di non saper comprendere qual è il sono si questo vivere. Uno spreco ed un dileggio insensati. Vorrei che tornassero i fantasmi della festa a danzare allegri spargendo i mille profumi di cose buone che rendono l'animo leggero e vogliono che ognuno abbia la sua parte di gioia.
Vorrei che Natale smettesse gli abiti della festa e vestisse quelli quotidiani delle giornate normali, perché Natale è nelle strade tra la gente che vive senza speranza e non nella tregua di giorni di festa".

domenica 1 gennaio 2017

BUON ANNO...



PREGHIERA PER IL NUOVO ANNO
"Preghiera di un giovane contadino sudamericano"

Signore, alla fine di questo anno voglio ringraziarti
per tutto quello che ho ricevuto da te,
grazie per la vita e l’amore,
per i fiori, l’aria e il sole,
per l’allegria e il dolore,
per quello che è stato possibile
e per quello che non ha potuto esserlo.

Ti regalo quanto ho fatto quest’anno:
il lavoro che ho potuto compiere,
le cose che sono passate per le mie mani
e quello che con queste ho potuto costruire.

Ti offro le persone che ho sempre amato,
le nuove amicizie, quelli a me più vicini,
quelli che sono più lontani,
quelli che se ne sono andati,
quelli che mi hanno chiesto una mano
e quelli che ho potuto aiutare,
quelli con cui ho condiviso la vita,
il lavoro, il dolore e l’allegria.

Oggi, Signore, voglio anche chiedere perdono
per il tempo sprecato, per i soldi spesi male,
per le parole inutili e per l’amore disprezzato,
perdono per le opere vuote,
per il lavoro mal fatto,
per il vivere senza entusiasmo
e per la preghiera sempre rimandata,
per tutte le mie dimenticanze e i miei silenzi,
semplicemente… ti chiedo perdono.

Signore Dio, Signore del tempo e dell’eternità,
tuo è l’oggi e il domani, il passato e il futuro, e, all’inizio di un nuovo anno,
io fermo la mia vita davanti al calendario
ancora da inaugurare
e ti offro quei giorni che solo tu sai se arriverò a vivere.

Oggi ti chiedo per me e per i miei la pace e l’allegria,
la forza e la prudenza,
la carità e la saggezza.

Voglio vivere ogni giorno con ottimismo e bontà,
chiudi le mie orecchie a ogni falsità,
le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste
o in grado di ferire,
apri invece il mio essere a tutto quello che è buono,
così che il mio spirito si riempia solo di benedizioni
e le sparga a ogni mio passo.

Riempimi di bontà e allegria
perché quelli che convivono con me
trovino nella mia vita un po’ di te.

Signore, dammi un anno felice
e insegnami e diffondere felicità.

Nel nome di Gesù, amen.
Harley Tuberqui