domenica 12 febbraio 2017

Carnevale di VENEZIA, Omaggio al suo Passato


Da "STORIA DI VENEZIA" di Paolo Scandaletti

La voglia di vivere
La voglia di vivere, di abbigliarsi e far festa si esprimeva  al  suo acme nel Carnevale che non aveva eguali al mondo, coinvolgendo tanti: patrizi, popolani e foresti. Lo hanno descritto ed esaltato cronisti, poeti e scrittori come Voltaire nel suo"Candide": lo hanno raffigurato i pittori di secolo in secolo, fino a Canaletto, Guardi e Heinz. E naturalmente criticato censurato. Già nel 1567 contro le sue follie tuonava dai pulpiti veneziani un prete giovane e smilzo che studiava"leggi" a Padova e che sarebbe diventato una delle guide della Chiesa, il cardinale Roberto Bellarmino. Galileo invece, anche lui a Padova come giovane professore di matematica, si sarebbe entusiasmato per gli svaghi veneziani e vi avrebbe preso parte spesso con l'amico Giovanfrancesco Sagredo, assecondando la sua natura vitale e gaudente.
In maschera si mettevano tutti: la stragrande maggioranza indossava il*tabarro", cioè un manto nero che arrivava fino ai piedi, il tricorno in testa, sul volto la "larva" bianca a coprire gli occhi e la"bauta", la classica mantellina che scendeva sulle spalle. In tal modo nessuno avrebbe potuto riconoscere nessuno e questo consentiva di fare tutto ciò che in abiti normali, non sarebbe stato conveniente o agevole. Così si avventuravano tra la folla il Doge e i nobiluomini, le signore e le cortigiane, le carampane e le donnette, i pescivendoli e i Notari, e perfino frati, monache e e il nunzio apostolico.
Il tocco pittoresco e variopinto era dato invece dai veri travestimenti nei panni di maschere tradizionali come Arlecchino, Pantalone, Balanzone, Brighella, Pulcinella e Colombina, o in quelli più generici di diavoli, streghe, straccioni, lavandaie e serve, turchi, tedeschi, spazzacamini, straccivendoli, armeni, ebrei, assassini, avvocati e medici.
Ai poveracci  era consentito per un giorno di indossare anche la toga nera ed accedere ai palazzi dei patrizi: ai nobili travestiti da popolani di entrare nelle osterie malfamate e nei bordelli di second'ordine; alle loro donne di uscire senza cavalier servente e infilarsi furtive nelle stanze delle locande con qualche aitante gondoliere.
Tenendo conto che a Venezia qualsiasi occasione era buona per far festa e bisboccia, appare quasi anacronistico che il Carnevale avesse un suo calendario che si  apriva con la prima domenica  di ottobre, si sospendeva per Natale, riprendeva fino alla Quaresima e ancora dopo la Pasqua fino alla festa dell'Ascensione.
Come sempre, il clou si raggiungeva nei giorni "grassi", in particolare il giovedì, allorché nel Carnevale veniva ufficialmente coinvolto il Palazzo: alla Loggia Foscari si affacciava il Doge con i famigliari e la Signoria, mentre ai lati, sotto le arcate gotiche, c'erano i senatori, i capi del Consiglio dei Dieci, procuratori, savi e avogadori.
Nella sottostante piazzetta e in piazza, stipati davanti alla Basilica, si radunavano migliaia di Veneziani e foresti accorsi per vedere i "zoghi" e i "foghi" che si svolgevano per ricordare la vittoria sul patriarca di Aquileia, Ulrico avvenuta nel lontano 1170: l'ennesimo pretesto, ovviamente...





 

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