martedì 28 febbraio 2017

Un Santo allegro e simpatico




Viviamo tempi difficili e poco allegri e ci fa bene conoscere un  pò una persona che in ogni difficoltà ha saputo vivere in modo scherzoso ed ottimista,
Piero Lazzarin presenta san Filippo Neri in modo piacevole ed edificante. È un invito a cercare di vivere in modo più 'leggero'..

"Una frase di Filippo  "Pippo" Neri che merita di essere meditata per la sua bruciante attualità:"È possibile restaurare le umane istituzioni con la santità -egli diceva non  restaurare la santità con le istituzioni". La proferì in pieno clima di controriforma, quando abbondavano i profeti di sventure, i tetri accusatori, coloro che invocavano il braccio forte delle istituzioni per ridare slancio e autorità alla chiesa, dimenticando -e Filippo glielo voleva appunto ricordare - che solo l'amore di Dio e la santità possono portare sollievo alla chiesa.
Non fosse stato l'uomo di Dio che tutti ammiravano, a Filippo una lavata di capi da parte del Sant'Uffizio non gliela avrebbe risparmiata nessuno.
Ma a quel tempo Filippo, "Pippo bono" per gli amici, guai a toccarlo! Brillante, spiritosi, la battuta sempre pronta e pungente (da buon toscano) e tanta bontà, tanta comprensione e disponibilità per tutti, era diventato l'idolo dei monelli scarmigliati e inselvatichiti delle borgate romane. Li aveva raccolti nell'"Oratorio del divino amore" per dirozzarli, tenerli allegri, lontano dalle cattive compagnie e farli crescere uomini di dignità e cristiani per convinzione.
Per questi ragazzi, per la salute delle loro anime e dei loro corpi, Filippo non esitava a  mendicare per le strade o alle porte dei sontuosi palazzi. Un giorno un signore, ritenendosi infastidito dalle sue richieste, pensò di toglierselo di torno appioppandogli un ceffone. Filippo non si scompose:"Questo è per me -e ve ne ringrazio. Ora datemi qualcosa per i miei ragazzi".
Filippo era nato a Firenze nel 1515. Figlio di un notaio, rimase presto orfano della madre. Ebbe, nonostante quella perdita, un'infanzia serena, favorita anche dalla sua indole mite e allegra. Studiò musica, poesia e amò la bellezza della natura. A diciotto anni venne mandato a Cassino da uno zio mercante a imparare un mestiere. Dal bancone della bottega, lo sguardo poteva spaziare sul colle di Cassino sormontato dalla gloriosa abbazia, e dopo un pò Filippo non ebbe occhi che per quella!
Ma non era tagliato per la vita di monaco, Bazzico' per qualche mese i benedettini, ma poi decise di trasferirsi a Roma. dove seguì i corsi di studio che si tenevano alla Sapienza.
Neppure nello studio però trovò quello che cercava, tant'è vero che, a ventiquattro anni, fece un  fascio di tutti i libri che aveva (si tenne solo la Bibbia e la Summa Theologica di san Tommaso) e li vendette al mercato distribuendo il ricavato ai poveri..Dopo di che si trasformò in predicatore ambulante e in assiduo frequentatore dei quartieri più poveri della città, degli ospedali più abbandonati, delle carceri più tetre, portando ovunque, con la sua ilarità di toscanaccio purosangue, la testimonianza della più calda carità cristiana.
Nel 1551, a trentasei anni, ottenne di essere ordinato sacerdote. Subito dopo organizzò il suo primo oratorio, seme dell'istituzione che nel 1575 verrà definitivamente approvata con il titolo di "Congregazione dell'oratorio" perché fosse continuata nel tempo e possibilmente con il suo stile ("educare divertendo") la sua attività a favore dei ragazzi.
Per aver gettato in gioventù tutti i suoi libri (gesto che ripeterà poco prima di morire dando alle fiamme, stavolta, i suoi manoscritti), non dobbiamo pensare a Filippo come a uno zoticone ignorante. Tutt'altro! Aveva una solida cultura: fu consigliere di umili, ma anche di uomini illustri come papa Clemente VIII e San Carlo Borromeo.
Filippo era molto ricco interiormente, era umanissimo nei rapporti con gli altri e francescanamente aperto alla gioia di vivere, alla serenità, all'accettazione di sé e dei propri limiti, "Ritirati, Signore, ritirati, Trattiene l'onda della tua grazia", diceva quando aveva il cuore gonfio di felicità e di riconoscenza. Nello stesso tempo pregava il Signore di tenergli una mano sul capo "altrimenti Filippo, senza il tuo aiuto, ne fa qualcuna delle sue".
Durante la messa era a volte rapito in estasi, ma lui, per limitare quei "voli" che potevano tramutarsi in vanagloriosi spettacoli, teneva accanto al messale, pronto per l'uso, il libro delle Facezie del pievano Arlotto.
A messa conclusa, nel congedare i fedeli, era solito dire "La vostra ora di preghiera è finita, ma non il tempo di fare il bene", Era bravissimo nel tradurre in brevi massime la dottrina e la sapienza spirituale del cristianesimo e molti suoi detti, tramandati oralmente sono entrati a far parte del patrimonio di moltissime generazioni, e ciò dimostra il grande e decisivo influsso da lui esercitato sulla vita religiosa e sociale del suo tempo.
Morì a ottant'anni, dopo aver più volte rifiutato il cardinalato. I medici, esaminando la sua salma, trovarono il muscolo cardiaco più voluminoso del normale, mentre due costole si erano inclinate per far spazio ai battiti di quel cuore colmo  d'amore per Dio e per gli uomini. Venne canonizzato dopo un processo ricchissimo di testimonianze nel 1622, da Gregorio XV.







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